Il Rosso di Valtellina è il piccolo di casa Pelizzatti Perego, ma già al primo assaggio sfodera tutta la stoffa del nebbiolo di montagna, grandioso eppure di suadenti profumi e beva eccezionale. Il Rosso di Valtellina di Ar.Pe.Pe. proviene esattamente dagli stessi grandi cru valtellinesi in cui l’azienda ha scritto la storia della viticoltura in valle. Si tratta di uve della Sassella e del Grumello, e più precisamente dei filari a più bassa altitudine, dove i grappoli regalano naturalmente vini più pronti, immediati e di straordinaria schiettezza. Si tratta dunque a tutti gli effetti di uve vocate anche alla produzione delle riserve di Valtellina Superiore, che Ar.Pe.Pe. decide tuttavia di conferire in un prodotto concepito per la più pronta beva. Regalandoci uno dei nebbioli di maggior successo in assoluto.
I terreni sono quelli tipici del comprensorio valtellinese, cioè franco-sabbiosi retti da elevati terrazzamenti a secco. I vigneti, condotti in modo del tutto ecosostenibile con una riduzione al minimo degli interventi fitosanitari, sono situati a un’altitudine media di 350-400 metri sul livello del mare e vengono allevati con una resa media di 75 quintali per ettaro. Questa viticoltura eroica dona, com’è naturale, i suoi frutti un po’ tardivamente: la vendemmia, completamente manuale, viene infatti effettuata verso metà o seconda metà di ottobre.
Il Rosso di Valtellina di Ar.Pe.Pe. è un nebbiolo che vive in cantina una storia da grande vino, in cui è impresso tutto lo stile di famiglia. La macerazione del mosto sulle bucce è infatti lunghissima, e supera tranquillamente i 100 giorni; avviene, inoltre, in grandi tini di legno da 50 hl. Il giusto tempo, quindi, anche per il piccolo di casa, preparandolo a una maturità del tutto degna di un rosso superiore. L’affinamento prosegue in tini e botti della stessa capacità (50 hl) per ulteriori 6 mesi, e poi ancora in vasche di cemento e in bottiglia prima della commercializzazione.
Nato dopo l’estate del 2003, torrida e ritenuta da Ar.Pe.Pe. inadatta a vinificare riserve dal lungo affinamento, il Rosso del Valtellina rappresentò in quell’occasione la scelta di non vanificare il duro lavoro svolto in vigna per salvare un raccolto complesso e a tratti ostico. Scelta azzeccatissima, perché da allora Ar.Pe.Pe. omaggia gli appassionati di un nebbiolo che è un vero e proprio inno alla quotidianità, un calice libero e spensierato ma complesso, che dà a tutti la possibilità di accedere a un rosso delle Alpi nobilitato fin dalla sua più tenera età.
Di un classico color granato trasparente, il Rosso di Valtellina di Ar.Pe.Pe. esprime già al calice la propria duplice natura: raffinato e delicato, ma al tempo stesso consistente e sfaccettato. I profumi lavorano inizialmente su una trama molto caratteristica del nebbiolo giovane: si percepiscono note floreali di mammola e sbuffi fruttati che richiamano i frutti di bosco rossi. Questa notevole finezza espressiva, alle successive olfazioni, si va perfezionando e facendo più scura e profonda, segno che ci troviamo davanti al tipico nebbiolo in continua evoluzione. Ecco allora i frutti di bosco diventare da rossi a neri, con tocchi di mirtillo, e infittirsi le note balsamiche di anice e quelle, molto fragranti, di erbe alpine. Dopo ulteriori rotazioni, il calice sprigiona alcuni accennati sentori di spezie, come il pepe bianco, per terminare su echi ancora più avvolgenti di incenso.
Il sorso riporta immediatamente l’assaggiatore alla verticalità del nebbiolo di montagna. C’è in generale una struttura molto sottile, a tratti soffusa e sussurrata, dalla quale però si stagliano sensazioni nette, decise e verticali. Una sferzante freschezza, denotata da un’acidità mai doma, che esprime tutta la bevibilità di questa etichetta. Un rosso dritto, verticale, dissetante, di incredibile scorrevolezza se se ne considera l’eccezionale complessità. Il tannino è setoso, alquanto delicato e vellutato, anche se l’ultima sferzata al sorso arriva nella persistenza, che è tanto lunga quanto amaricante, quasi a ideale contrappunto alle note morbide con cui si era congedato il naso.
A tavola, questo vino è in grado di esibirsi con rara versatilità. Anzitutto, non bisogna essere temerari per consigliarlo come rosso da aperitivo. Ha la freschezza giusta. Naturalmente, nella vastità di abbinamenti possibili, quelli territoriali ci affascinano di più: da un antipasto con bitto e bresaola a un bel primo classico ai pizzoccheri. Disco verde a tutti i piatti unici a base di polenta. La sua acidità dirompente sgrasserà molto bene anche secondi di maiale molto ricchi di sugna, come le tipiche costine al lavècc, e la sua struttura agile ma di carattere terrà testa senza problemi anche a un bel manzo alla valtellinese, ripieno al pomodoro e cotto con burro e cipolle.