Vino di Friuli Venezia Giulia
La tradizione vinicola friulana è radicata in una lunga storia: prima i romani, poi i bizantini intorno ad Aquileia, e poi ancora la Serenissima Repubblica di Venezia fecero della regione uno dei più importanti crocevia del vino in Europa. Il patrimonio dei vitigni autoctoni friulani è molto vasto, anche se, dopo la fillossera, molti sono stati espiantati in favore degli internazionali, sia rossi sia bianchi.
Specogna Friuli Colli Or. Cabernet Franc 2019
Friuli Venezia Giulia
La tradizione vinicola friulana è radicata in una lunga storia: prima i romani, poi i bizantini intorno ad Aquileia, e poi ancora la Serenissima Repubblica di Venezia fecero della regione uno dei più importanti crocevia del vino in Europa. Il patrimonio dei vitigni autoctoni friulani è molto vasto, anche se, dopo la fillossera, molti sono stati espiantati in favore degli internazionali, sia rossi sia bianchi.
Caratterizzato da un clima mite, protetto dalle correnti alpine, e da suoli quasi sempre ricchi di sostanze minerali, il Friuli-Venezia Giulia è una regione piccola ma composita. Il Friuli presenta suoli prevalentemente alluvionali, verso l’Adriatico, eccetto le “grave” moreniche della zona delle Grave e dell’Isonzo e i primi colli della parte orientale della regione, marnoso-arenarico-calcarei, sostanzialmente comuni a quelli del Collio, zona della provincia di Gorizia in totale continuità storica e vitivinicola con il Collio sloveno (Brda): suoli molto particolari, atti a grandi bianchi da affinamento e rossi particolarmente eleganti e minerali, che vengono chiamati, a seconda della zona, flysch o ponca. Vini meno strutturati, di scattante acidità e beva piacevole sono invece quelli del Carso, in Venezia Giulia, identificata oggi con la zona di Trieste: i suoli, qui, sono aridi, porosi e sassosi, carsici, appunto.
I bianchi rappresentano il fiore all’occhiello del vino friulano, tanto che la regione viene considerata bianchista per eccellenza. Vitigno classico autoctono un po’ di tutto il Friuli è il friulano, un tempo chiamato tocai. Fresco e ammandorlato nel finale, il friulano è capace di un’evoluzione non indifferente, che lo porta ad assumere un profilo minerale più complesso, con note di idrocarburo e pietra focaia. Grandioso nelle DOC Friuli Colli Orientali e Collio, come la ribolla gialla, altra protagonista dell’identità vinicola regionale. Strutturata, con ottima spalla acida e complesse fragranze, la ribolla si esprime in modo eccellente anche in versione orange, avendo buccia solida e ricca di polifenoli. Eccelsa sui Colli Orientali, nel Collio assume spesso questa veste, specie nel cru di Oslavia, dove le è dedicata gran parte del vigneto e dove regala sensazioni balsamiche, eteree, salmastre straordinarie dopo lunghe macerazioni sulle bucce e altrettanto duraturi affinamenti in legno o in anfora.
Patria degli orange italiani, il Collio, e il Friuli tutto, sforna anche molti bianchi autoctoni freschi e leggeri. È il caso del verduzzo, dorato e di buona struttura, che dà il meglio di sé in vendemmia tardiva, dolce-non dolce, nella DOCG Ramandolo. Verso il Carso, spiccano la malvasia istriana, molto delicatamente aromatica e prevalentemente minerale, e la vitovska, un bianco teso e sottile dalle grandi prospettive evolutive. Tra gli internazionali, il catalogo incontra tutti i gusti: dal rotondo pinot grigio, a volte ramato, al più diretto pinot bianco, fino allo chardonnay e a un sauvignon che, nel comprensorio del Friuli-Isonzo, richiama la mineralità e la complessità tutt’altro che ruffiana dei fratelli maggiori dell’alta Loira.
Sul fronte rossi, gli autoctoni sono comunque numerosi, anche se non sempre ricchissimi di personalità. Il “vinone” friulano è il pignolo, molto strutturato e longevo, di buona tannicità, spesso affinato in botte con straordinari risultati. A ruota, il refosco, rubino più delicato, moderatamente tannico e dal piacevole finale amarognolo. Caratteristico soprattutto della sottozona di Prepotto nei Colli Orientali, lo schioppettino deve il nome alla facile beva, alla croccantezza e all’acidula fragranza. Recuperato da estinzione sicura, il tazzelenghe, al contrario, deve il nome (“taglialingue”) all’estrema tannicità, e si caratterizza, oltre che per il nerbo rustico, per l’acidità e i sentori erbacei. Merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc e franconia dominano lo scenario dei rossi internazionali. Nel Carso, invece, l’autoctono è il terrano (teran), un rosso trasparente, fruttato, leggero e fresco, solo recentemente sperimentato in versioni da affinamento.
Nell’ambito dei Colli Orientali destano particolare attenzione due cru. Uno è quello occupato dalla DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit: il picolit è un’uva bianca molto rara e difficile da coltivare perché soffre di acinellatura, cioè non tutti gli acini del grappolo giungono a maturazione. Considerato un tempo al pari del Tokaji ungherese, oggi ha un profilo molto più di nicchia, anche se non meno prezioso. Vinificato dopo vendemmia tardiva o appassimento, è amabile, di contenuta dolcezza, grande eleganza, piacevole freschezza e finale sontuosamente ammandorlato. L’altro cru è la DOCG Rosazzo, ai piedi dell’omonima abbazia. Un fazzoletto di terra che regala bianchi straordinari per mineralità, struttura e longevità, a base di friulano in prevalenza, con l’apporto significativo di uve internazionali come chardonnay e sauvignon.