Che cosa sono gli orange wine?
L'arancione è il quarto colore del vino e il metodo più ancestrale nel mondo del vino. Quello che sembra un ritorno al futuro nasconde in realtà una molteplicità infinita di stili e di possibili abbinamenti cibo-vino.
Una volta i bianchi si facevano solo così. Non c'era la tecnologia per separare subito, in modo chirurgico, mosti e bucce. E quindi il vino veniva così: bianco, ma corposo; sottile, ma opulento; floreale, ma balsamico. Venivano bianchi vestiti di rosso, nettari dorati, a volte ambrati: i vini orange.
Quella che una volta era la sola tecnica per vinificare in bianco, oggi diventa uno studio, una ricerca della tradizione. Tanto da costituire una tipologia vinicola a sé stante. Quella dei vini né bianchi né rossi: arancioni, appunto. E la tradizione porta con sé tutto il patrimonio che gli "orangisti" recuperano: fermentazioni spontanee con lieviti indigeni, conduzione biologica delle vigne, affinamenti in anfora, interventismo minimo. Che cosa sono gli orange wine? Tutto questo, ma non solo!
Storia e diffusione degli orange wine
Inteso come "vino di un tempo", cioè come vino da uve bianche trattate nell'unico modo con cui anticamente si poteva fare il vino, l'orange wine ha la sua culla in Georgia. Cioè, appunto, dove si ritiene che il vino sia nato. In Georgia si tramandano da 8000 anni antichissime tecniche colturali e di vinificazione, incentrate sulla macerazione dei mosti a contatto con le bucce e sulle lentissime fermentazioni nelle caratteristiche anfore di terracotta dette qvevri, capienti mediamente 1000 litri.
La vinificazione in queste anfore interrate, che vengono chiuse ermeticamente e ricoperte di cera per proteggere il vino dall'eccessiva ossidazione, è Patrimonio dell'Umanità UNESCO: in Georgia se ne trovano ancora in uso alcune di oltre 250 anni di età, e la loro tipica forma affusolata, con il fondo a uovo, favorisce il naturale deposito di fecce e residui all'interno, facilitando la decantazione al momento della svinatura.
Il rinascimento degli orange in occidente avviene in Italia, verso la fine del secondo millennio, grazie ad alcuni produttori friulani, attivi al confine con la Slovenia nella zona del Collio goriziano. I pionieri sono stati sicuramente Joško Gravner e Stanko Radikon, a Oslavia, terra dove il suolo minerale della ponka e il vitigno principe, la ribolla, hanno rappresentato il contesto ideale per il recupero di queste millenarie tecniche di vinificazione. A Gravner, che è stato in Georgia nel 2000, si deve anche la ripresa dell'anfora, e naturalmente l'istituzione di tutta una filosofia produttiva che comprende la fermentazione senza controllo della temperatura e l'esclusione di ogni filtrazione, chiarifica e uso di solfiti. Da questo angolo del Collio è partito un movimento che oggi influenza molti vignaioli e artigiani in giro per l'Italia e non solo: Austria, Germania, Francia, Spagna, Ungheria, Serbia ma anche Nuova Zelanda e Stati Uniti sono ormai alle prese con questa intrigante tipologia di vino.
Come si fanno gli orange wine?
Come si fanno gli orange wine? Di norma, quando si deve fare un bianco, si portano le uve in cantina e una macchina separa immediatamente il mosto, cioè il succo spremuto, dalle bucce, che vengono eliminate. Per fare un orange wine, invece, dopo la pigiatura le bucce non vengono separate, ma lasciate nel mosto, a contatto cioè con la parte liquida dell'acino. Cioè si fa esattamente quello che si farebbe se si volesse produrre un vino rosso. In questo modo le bucce rilasciano nel mosto, che intanto comincia a fermentare, tutta una serie di sostanze aromatiche e coloranti (flavoni, terpeni, polifenoli, tannini...) e anche i lieviti indigeni dell'uva.
Questo è il semplice motivo per cui un orange, rispetto a un bianco, avrà più colore (con tonalità che vanno dal dorato carico all'ambrato), più struttura (a volte paragonabile a un rosso leggero), più morbidezza e, in certi casi, anche una percepibile tannicità. Attenzione: nulla a che vedere con i rosati. Quella gamma di colore è data infatti solo da uve rosse, che per gli orange non si usano. Al massimo, un buon orange potrà avere un colore ramato, ad esempio se l'uva utilizzata presenta questa sfumatura già nell'acino, come nel caso dei vini orange da pinot grigio. Ovviamente la durata della macerazione, cioè del contatto bucce-mosto, è determinante sull'intensità del colore, dei profumi e della consistenza del prodotto finale.
Quali uve si usano per gli orange wine e come si affinano
Ci sono uve che si prestano particolarmente a produrre orange wine? In linea di massima sì, anche se ogni uva bianca è predisposta. In generale vanno bene uve resistenti e coriacee, perché sono ricche di sostanze nella buccia, e quindi hanno molto da rilasciare, come la ribolla, il pinot grigio e la grenache grigia, il friulano, alcuni trebbiano, la garganega, il macabeo, lo chenin blanc. Bene anche le uve che concentrano molti zuccheri nell'acino, o anche molte sostanze aromatiche, come il sauvignon, la malvasia di Candia, il verduzzo, lo zibibbo e molti moscati mediterranei. Certamente sono favorite le uve dei comprensori freschi, di collina, soprattutto dove i suoli sono ricchi di minerali, quindi regalano al vino struttura e sapidità. Ma anche le zone di mare, dove la salinità è data dallo iodio trasportato dalle correnti.
Quanto all'affinamento, non tutto l'orange passa per l'anfora. Molti produttori, ad esempio, preferiscono utilizzare il legno, anche per lunghi affinamenti che vanno più marcatamente ad ammorbidire alcune spigolosità che un grande orange può avere. Il legno può essere usato solo in affinamento o anche in fermentazione, sia piccolo sia grande, sia nuovo sia - più spesso - usato. Ma non è escluso l'utilizzo di recipienti ancor meno "invasivi" come il cemento o persino l'acciaio: esistono anche vini orange "da aperitivo", sferzanti per freschezza e sapidità, che non toccano legno né terracotta. A volte vengono anche spumantizzati, spesso con metodi a loro volta ancestrali, oppure diventano frizzanti, con fondo in bottiglia o senza. Anzi, il vino orange spumante è una delle tendenze più recenti.
Che sapore hanno gli orange wine?
Che sapore hanno gli orange wine? La domanda può sembrare banale ma non lo è affatto. Immaginare il bouquet aromatico e la complessità gustativa di un vino orange non è semplice. E non è semplice neppure descriverlo, perché la tecnica di produzione e le uve impiegate sono molto diverse, e a seconda della durata della macerazione, dello stile determinato dall'affinamento o dal livello di aromaticità del vitigno possono sussistere differenze gigantesche.
Il colore, come dicevamo, può oscillare dal giallo dorato carico all'ambrato, passando per l'arancione e il ramato. Questa variabilità è stabilita dalla diversa durata della macerazione, e implica che il confine tra un semplice bianco leggermente macerato e un orange vero e proprio non sia mai determinabile con sicurezza. In Italia, ad esempio, esistono comprensori, come le Cinque Terre, dove la macerazione delle uve bianche è tradizionale, e serve a dare maggior corpo ai vini. Sono vini orange? Non proprio!
Certo è che il mondo orange è tra i più allergici all'omologazione delle sensazioni. E quindi al naso aspettiamoci un catalogo disparato ed esorbitante, con note di frutta matura oppure candita, di scorza di agrumi, di erbe aromatiche e anche di foglia di peperone. Attendiamoci sbuffi speziati, che vanno dal pepe alla cannella - profumi, al caso, della vinificazione o dell'affinamento in legno - e ancora tostati, non di rado persino affumicati, con echi di silice e polvere da sparo. Molto frequenti, anzi caratteristici dei grandi orange, sono il mallo di noce e la frutta secca in generale, spesso accompagnate da avvolgenti note di ossidazione e crosta di pane, legate alla tecnica di produzione. E poi, a suggellare la tipica morbidezza, anche note di miele, che a volte, di primo impatto, farebbero scambiare alcuni di questi vini per un aristocratico passito. Idrocarburo e note eteree incoronano gli orange più longevi, capaci di esprimere sensazioni nuove (terziarie) anche a più di vent'anni dalla vendemmia.
Non meno eterogeneo sarà il palato. Alcune caratteristiche saranno certamente mutuate dai rossi: la struttura, senza dubbio, ma anche il frequente tannino. Morbidezza mai assente, ideale compagna di una struttura abbondante di residuo solido. Ma l'ampiezza e la complessità di questi vini si gioca soprattutto nel catalogo delle durezze: a parte il tannino, freschezza e sapidità devono fare la differenza, anche quando una fermentazione malolattica ne abbia smussato le spigolosità. Una sapidità a volte salmastra, che determina una lunga persistenza amaricante, sarà una delle caratteristiche più gradite in un sontuoso orange wine.
Come abbinare gli orange wine?
Benché alcuni grandi orange, come la ribolla di Gravner, possano persino essere considerati vini da meditazione, questa tipologia di vino è imbattibile per versatilità a tavola. Certo sono da provare con formaggi stagionati e con primi elaborati e ben conditi, ma la vera sfida è metterli alla prova con i secondi di carne. Agnelli e capretti succulenti e speziati possono essere un bel banco di prova, ma anche arrosti e brasati. Da non escludere i piatti di mare, purché saporiti e ben strutturati.
Temperatura di servizio
Più da rosso che da bianco, quindi sopra i 12 gradi, meglio se verso i 16. Calici ampi, anche balloon, per permettere a tutta questa magia di esprimersi con la necessaria ampiezza. In caso di fondo abbondante, cosa non rara se si considera che spesso questi vini sono naturali e non filtrati, la decantazione è utile, anche per ossigenare un prodotto che può presentarsi un po' chiuso allo stappo.