Less is more: le nuove tendenze del vino rosso italiano
Un vino da bere, anche tutti giorni. Il nuovo vino rosso italiano rompe i cliché dell’opulenza mediterranea per abbracciare bevibilità, finezza e artigianalità.
Nell’immaginario collettivo, purtroppo ancora molto diffuso, il miglior vino rosso italiano è pieno, rotondo, muscolare. Si apprezza ancora molto spesso il rosso morbido e di elevata gradazione alcolica. E si assegna a queste caratteristiche il marchio della qualità.
Questo DNA, intendiamoci, è ben presente nel variopinto panorama del vino italiano. Ed esprime indiscusse eccellenze. Robustezza e carattere non escludono certo complessità e finezza, anzi. Tutti conosciamo alcuni grandiosi primitivo, ma anche splendidi rossi rustici e corposi da uve aglianico, montepulciano e molte altre.
Ma, da almeno vent’anni a questa parte, la realtà del vino rosso italiano si è aperto a nuovi stili. Che è ora di scoprire.
Il Libertà di Walter Massa è il figlio minore di un personaggio… fuori dagli schemi. Tra i padri nobili del vino naturale piemontese, Walter mette in bottiglia, con tappo a vite, un rosso-rosé (o rosé-rosso, scegliete voi) che esprime in modo immediato e compulsivo il terroir dei colli di Tortona. Fruttato, vegetale, sapido, pizzicante.
Che cos’è la bevibilità di un vino rosso: i nuovi trend.
La nuova tendenza dei vini rossi italiani si basa su un principio di autenticità. Devo trovare cioè nel bicchiere quello che il terroir e il vitigno esprimono, senza troppe mediazioni. Senza troppi interventi né in vigna né in cantina. Vini d'Italia diretti, schietti, quindi, solitamente artigianali e prodotti senza forzature tecnologiche. Queste tipologie di vini più sinceri, "senza fronzoli" stanno spopolando, le persone li apprezzano, non solo in Italia, anche all'estero, venendo premitai dai maggiori critici internazionali come Robert Parker o James Suckling.
Elisabetta Foradori è la signora del teroldego. Ma non solo. La sua storia è uno dei simboli della rinascita del vino artigianale italiano. Lezer è la sua interpretazione gioviale e leggera della “sua” uva, dai filari più giovani. La regina delle anfore e della biodinamica di montagna ci regala succo, freschezza e armonie imbattibili.
Siamo di fronte a vini rossi molto concreti, con tutti i pregi e i difetti del prodotto nudo e crudo. Vini che non saranno sempre dei campioni imbattibili in degustazione, ma che a tavola vincono tutte le sfide di sbicchieramento libero. Bottiglie, insomma, destinate a essere svuotate in poco tempo con totale soddisfazione dei commensali.
Bevibilità come nuovo mantra, quindi. Cosa significa? Anzitutto, si tratta di realizzare un vino rosso poco alcolico, o almeno non troppo. Un vino rosso non eccessivamente strutturato, che giochi le sue carte sul tavolo della finezza e dell’eleganza più che dell’opulenza. Su Italvinus potete trovare tutti i vini rossi di cui parleremo e i link ai vari prodotti.
Chi l’ha detto che in Valpolicella si fanno solo rossi opulenti e muscolari? La nouvelle vague è arrivata anche qui! Se volete provare la corvina veronese in una nuova veste, decisamente pop e per tutte le tasche, non perdete una coppia di vini best seller come il rosso Scaia e il Valpolicella di Degani. Per tutti i giorni!
Colori, profumi e sapori del vino rosso
Alla vista, si tratta generalmente di rossi abbastanza chiari, talvolta trasparenti. Al naso, emergerà con intensità una chiara nota floreale e soprattutto fruttata. Se il vitigno e il terroir lo consentono, si sentiranno, dopo la ciliegia e la mora, anche spezie delicate, sbuffi erbacei leggeri, sottili note di terra bagnata.
Il sorso sarà scattante, dinamico, di ottima beva: molta acidità, quindi un bicchiere che invoglia a sorseggiare senza fatica il secondo. Sarà un vino rosso verticale, a volte tagliente, magari anche con un bel tannino vispo. A seconda del terroir, la struttura agile sarà accompagnata anche da una piacevole sapidità e, nel finale, da una nota ammandorlata che, anche se non lunghissima, lascerà la bocca pulita e appagata.
Tra i vitigni tipici delle isole italiane si nascondono tesori che donano bevute leggere, spensierate e… molto fruttate. In Sicilia c’è il nero d’Avola, da provare nella versione tutta pepe del Lamùri di Tasca d’Almerita. In Sardegna c’è il cagnulari, di cui i Cherchi sono gli interpreti vincenti. Rossi ammiccanti, seducenti, irresistibili.
Come si preserva la bevibilità di un vino rosso?
Questa nuova tendenza del vino rosso italiano si basa sul concetto del “less is more”. È quindi naturale che sia nata dal movimento del vino artigianale e che, visto il successo, anche più grandi aziende del vino si siano accodate ai primi vignaioli con ottimi risultati.
In che senso “less is more”? Anzitutto, praticando una viticoltura artigianale e genuina. Spesso, anzi, recuperando antiche tecniche di allevamento delle piante e di vinificazione. Nessuna pratica, quindi, finalizzata a forzare la natura del terroir e del vitigno. Ma partiamo dallo scopo finale: ottenere un vino rosso leggero, di facile beva e immediato impatto sensoriale.
Anche su un mostro sacro come il sangiovese toscano si può giocare. Lo dimostra Salcheto, l’azienda toscana bio per eccellenza, con il Chianti Biskero. Un nome che è tutto in programma! Fragrante, fresco e succoso, vi accompagnerà in bevute di insospettabile godimento. Che bischero!
In vigna, ad esempio, bandita ovviamente la chimica più invasiva, si eviteranno surmaturazioni o potature estreme, volte ad arricchire a dismisura la concentrazione degli acini e, quindi, del vino. Si può anche optare per vinificare un prodotto eccellente ma da vigne giovani, quindi con un frutto più fresco e meno concentrato di natura.
In cantina si opera su vari livelli. Anzitutto si presta grande attenzione alla salute delle uve, trattando quelle rosse con la stessa estrema delicatezza che si riserva a quelle bianche. Poi si praticheranno macerazioni brevi, o comunque non esagerate. Si procederà “per sottrazione”, evitando cioè di caricare il mosto-vino di troppo colore, troppo tannino, troppa struttura.
L’Emilia è la patria del rosso piacevole. Gran parte del merito va al lambrusco. Le bollicine di un grande Otello sono l’abbinamento da non perdere per una bella lasagna o con un panino alla mortadella. Ma l’Emilia è anche terra di vini naturali più agili e di beva che si facciano in Italia. Provare una barbera Ribelle di Camillo Donati per credere!
Affinamento? Ni. Un rosso pop lo si può imbottigliare anche quasi subito dopo la vinificazione in acciaio. Tuttavia, a seconda del vitigno, che magari è un nebbiolo, si potrà concedergli una sosta di pochi mesi sempre in acciaio, oppure già in bottiglia. Ma non è affatto escluso che un rosso verticale e di beva non abbia fatto anche un po’ di legno, magari una vecchia botte grande.
Oppure anche anfora o cemento: due soluzioni che stanno spopolando in questo settore, perché conferiscono al vino rosso classe ed eleganza senza quasi nulla togliere alla bevibilità.
In versione giovane, il nebbiolo è uno dei rossi più pop. In piena Langa, vale l’assaggio il Bric del Baio di Ca’ del Baio. Un’azienda Chiocciola Slow Food, fuori da ogni omologazione. Un nebbiolo teso, asciutto, caratteriale, dal tannino vivo e di acidità pizzicante. Perfetto con la tipica fassona in tartare. Dieci anni? Può reggerli!
Quali terroir esaltano la bevibilità di un vino rosso?
In Italia, ma anche in Spagna, il movimento del vino rosso “di beva” nasce come reazione a una situazione precedente. Sorge, cioè, come ribellione al rosso ipertrofico, eccessivo, enfatizzato da surmaturazioni in pianta, macerazioni lunghissime, affinamenti in botti piccole e nuove protratte per anni.
Si esprime quindi come opposizione al rosso potente, robusto e vanigliato, e sostiene che il nuovo approccio, dinamico e immediato, non sia in realtà una novità, ma un ritorno al vino fatto come una volta.
Vignaiolo. E basta. Questo è Francesco De Franco. Celebrato anche dal New York Times, ma con le mani ben piantate nella terra. Un uomo senza compromessi, che ha scrollato di dosso al gaglioppo decenni di vinificazione ipertrofica. Ha riportato alla luce tutta l’eleganza contadina del rosso tipico calabrese, gentile e delicato.
Ma tutti questi propositi non bastano. Servono anche terroir e climi idonei per realizzare il progetto. Quali? Naturalmente il fresco aiuta, perché dà naturalmente rossi più sottili, eleganti, di struttura contenuta e ottima acidità. Vini rossi valdostani, trentini, altoatesini, ma anche delle alte Langhe, vini della Valtellina, di tutte le alture appenniniche compreso il Chianti Classico e dell’Etna.
Ma le zone mediterranee non sono escluse a priori. Un po’ perché si può sempre far vino di beva lavorando bene in cantina, come abbiamo detto, limitando gli “eccessi” naturali del clima. Un po’ perché, come in Maremma e nelle zone vulcaniche delle Campania, aiutano i suoli.
Suoli calcarei, ferrosi, minerali, ricchi di scheletro, o ancora tufi, basalti, porfidi e tutte le formazioni vulcaniche conferiscono anche ai vini rossi quella “spalla” di durezze che conferiscono alle etichette finezza, sapidità, drittezza di struttura e, quindi, grande bevibilità.
Se l’Etna non ha più bisogno di presentazioni, è anche merito dei Planeta. Il nerello mascalese è diventato negli anni il simbolo del rosso meridionale elegante, raffinato e longevo. Nelle versioni “base”, come l’Etna Rosso, regala al tempo stesso immediatezza e profondità. Per chi cerca da un solo rosso sia spensieratezza sia emozione.
Esistono uve che danno rossi particolarmente bevibili?
Assolutamente sì! Si tratta, in linea molto generale, di tutte le uve a bacca nera che concentrano poche sostanze negli acini e quindi danno vini naturalmente meno strutturati, meno alcolici e più acidi. In Italia… siamo messi bene! Molte delle uve rosse autoctone italiane, infatti, rispondono a questi requisiti. E non deve ingannare il fatto che, per lunghi decenni ormai passati, sono state vinificate con tecniche che ne forzavano la natura, a cominciare dal colore, che è sempre rubino o granato trasparente.
Arianna Occhipinti è una delle vignaiole-simbolo del vino artigianale in Italia. Da Vittoria, in Sicilia, ha conquistato il mondo con uno stile diretto, senza fronzoli, piacevole ma immediato. Ha fatto dell’eleganza la cifra dei suoi vini. E in particolare del frappato, l’autoctono su cui ha puntato. Uno dei rossi italiani più pop e sfaccettati insieme.
Nebbiolo, sangiovese, nerello mascalese, gaglioppo, teroldego, lagrein, frappato, ciliegiolo sono certamente tra questi. Ma non bisogna dimenticare il pinot nero, che ha proprio l’Italia tra i più raffinati produttori al mondo e che rappresenta, specialmente in Alto Adige, una punta di diamante del rosso elegante e di pronta beva – poi, certo, da cavallo di razza sa anche esprimersi con ben altre carature.
I grandi pinot nero italiani sono concentrati in Alto Adige e in particolare in quella succursale di Borgogna che si chiama Mazzon. Il colore tenue non inganni: si tratta sempre di bevute epiche, solo apparentemente immediate. Da antologia l’etichetta base di Brunnenhof: fruttato, minerale, piccante, tannico. Eppure, leggiadro.
E non solo. Perché “bevibile” non vuol dire soltanto “leggero”. “Bevibile” significa anche “vinificato in modo da essere bevibile”. E quindi anche uve normalmente considerate adatte a rossi strutturati possono assumere profili originali. È il caso dell’aglianico.
Elena Fucci è una vignaiola tenace che gira il mondo con il suo aglianico. Il suo Vulture, in Basilicata, è un terroir vulcanico dove si fa un rosso di montagna. Elena lo lavora il giusto, senza forzare. Ed è riuscita ad ottenere Titolo, un rosso sottile, teso, di beva ed elegante da una delle uve più “ostiche” del sud. Sorprendente.
Istruzioni per l’uso
Rosso “bevibile” non significa soltanto “da aperitivo”. Certo, in molti casi, si tratta di ottimi rossi da antipasto, perfetti con pizzetti e sfiziosità di questo tipo. Rossi che non bisogna sentirsi in colpa a lasciare in frigorifero un po’ prima del servizio: specie d’estate, sarà una scelta ottimale portarli a tavola anche intorno ai 14°C.
E non stupitevi se, al momento dello stappo, potrete lasciar perdere il cavatappi. Tappi a vite, di vetro o a corona sono sempre più in voga per questi rossi pop, a tutto vantaggio della freschezza e della maneggevolezza.
Hebo dimostra che anche un cabernet lo puoi portare ad un picnic intorno a un barbecue. La vera Toscana per tutti i giorni ce la regala una delle aziende italiane, Petra, più avanti per sostenibilità. C’è tutto quello che chiedi da un “bordolese” (acidità, tannino, note erbacee) ma in versione leggera e spensierata. Il prezzo fa il resto.
Molti di questi vini si prestano come splendida alternativa ai bianchi negli abbinamenti tradizionalmente considerati off-limits per un vino rosso. Primi a base di verdure, ad esempio, ma anche moltissime preparazioni di pesce, dal polpo grigliato ai ravioli di luccio, fino a una bella orata con pomodorini e patate.
Calcarius, i “vini del calcare”. Tutta un’altra Puglia. È il progetto 100% biologico di Valentina Passalacqua. Uve autoctone e approccio naturale senza compromessi. Vini che affinano sui lieviti e non vengono filtrati. Nù Litr, “un litro”. E non vi basterà. Macerazione breve, fermentazione spontanea. Selvatico, verace, ma pulito.
Carni? Assolutamente da non bandire. I rossi di beva compulsiva sono perfetti con tutte le grigliate, anche per la loro piacevole freschezza, che ben si addice ai mesi primaverili ed estivi. Inoltre, spesso si tratta di etichette molto concorrenziali, dal costo contenuto intorno ai 10€, quindi perfette sia come vino da sbicchierare in un locale, sia per un agile consumo domestico quotidiano.
Ampeleia… un altro litro! Ecco il progetto maremmano di Elisabetta Foradori. Avete presente la Toscana dei grandi sangiovese? Bene, preparatevi a entrare in un’altra dimensione. Tutta biodinamica, con etichette che puntano sulla freschezza e sull’estrema bevibilità. Il simbolo è appunto UnLitro. Il classico vino da grigliata. O da pizza.
Potenzialità di invecchiamento? Dipende. In alcuni casi, è fuori discussione che si tratta di rossi concepiti in partenza per la pronta beva. Vini che esprimono meglio se stessi da giovani, e che non ha senso conservare oltre i due anni dalla vendemmia.
In altri casi, il discorso è diverso, nel senso che c’è maggiore versatilità: ottimi subito, ma, volendo, anche dopo qualche anno, in genere comunque non più di dieci. È il caso di alcuni autoctoni leggeri ma di ottime potenzialità, come gaglioppo e frappato. Oppure di cavalli di razza come il nebbiolo che, pur vinificati nell’ottica del consumo rapido, conservano tutto il carattere del rosso da affinamento.
Il Rosso di Valtellina di Ar.Pe.Pe. rimette in discussione tutto quanto. Macerazione lunghissima, botti grandi, viti storiche. Eppure, un mostro di leggiadria, bevibilità, acidità, progressione. Merito del nebbiolo? Merito della montagna? Probabilmente entrambi. Nel dubbio, ce lo gustiamo. Ma possiamo anche attenderlo un decennio.