Metodi di vinificazione
Oggi tutti si sentono un po' esperti di vino. Molti sanno abbastanza bene che cos'è un vino biologico e si muovono nel winebar con fare disinvolto tra champagne e vini naturali. Ma... in quanti sanno esattamente che cos'è il vino?
Sì, ma... come si fa il vino?
Ecco, quando si entra nel campo tecnico e ci si chiede come si fa materialmente il vino, si esce dal piacevole discorso poetico su regioni e vitigni e si entra in un settore più complesso. Conosciuto, ammettiamolo, molto approssimativamente.
Proviamo a capirci qualcosa!
Che cos'è la fermentazione del vino
Partiamo dalla base: il vino è il prodotto della fermentazione alcolica del mosto (cioè del succo) d'uva. In poche parole: vendemmio l'uva, la pigio, e il succo che ne esce lo fermento. Cioè? Cioè faccio in modo che gli zuccheri che contiene vengano trasformati in alcol dall'azione dei lieviti.
I lieviti mangiano lo zucchero e lo trasformano in alcol e anidride carbonica. Ecco perché il vino è tanto più alcolico quanto più erano zuccherine le uve, ed ecco perché, in fermentazione, ribolle emettendo gas. Poi la fermentazione produce anche sostanze aromatiche: sono gli "aromi secondari" che vanno ad aggiungersi al bouquet naturale dell'uva (gli "aromi primari").
Quanto ai lieviti, ogni produttore può scegliere se affidarsi a quelli presenti in natura, quindi i lieviti naturali, oppure inoculare nel tino di fermentazione dei lieviti selezionati. Si tratta di lieviti cioè creati apposta per fare un vino senza sbavature, con la garanzia di una fermentazione senza incidenti di percorso.
Dove avviene la fermentazione?
La fermentazione del vino avviene spesso in vasche d'acciaio, più neutre e igieniche. Generalmente, ma non sempre, sono termocontrollate, in modo che la temperatura di fermentazione, che viaggia sui 30°C per i rossi, non salga troppo. Questo altera i profumi del vino, che non gradiscono certi sbalzi perché provocano facilmente un'ossidazione.
Altre volte la fermentazione può avvenire in tini di legno o in recipienti di cemento o ancora di terracotta (come le famose anfore usate da Elisabetta Foradori). Questi recipienti danno più carattere al prodotto: il legno, ad esempio, gli conferisce note burrose, tostate e vanigliate.
Si può... correggere qualcosa?
Il vino è un prodotto naturale basato però sul know-how dell'uomo, quindi sulla tecnologia.
L'uso dei solfiti, ad esempio, è utile per limitare la naturale ossidazione del vino, per illimpidirlo e conservarlo intatto nel tempo. Quando si aggiungono i solfiti nel vino? In varie fasi, dalla vigna all'imbottigliamento. Un produttore "interventista" può decidere di abusarne.
Un vignaiolo molto intransigente può scegliere di non usarli. E ne escono vini sorprendenti come il montepulciano No SO2 di Zaccagnini.
Altre pratiche, come le filtrazioni pesanti, lo zuccheraggio dei mosti per aumentare l'alcol (consentito solo nei paesi del Nord Europa), l'aggiunta forzata di acidi, sali, tannini, anidride carbonica forzata e quant'altro sono da ritenersi non coerenti con i principi del vino di qualità.
Come si fa il vino rosso?
Tutto chiaro? Bene, allora possiamo procedere con la vinificazione vera e propria.
Per fare un vino rosso, anzitutto, dobbiamo vendemmiare uve rosse. Già, perché un rosso lo puoi fare solo con uve rosse, non si scappa. Un vino bianco, invece, lo puoi fare sia con uve bianche sia con uve rosse, vinificandole in bianco (vedi dopo).
La vinificazione in rosso prevede che, dopo la pigiatura delle uve e la separazione degli acini dai raspi e dai vinaccioli (fa tutto una macchina), il mosto venga trasferito nei tini di fermentazione con tutte le bucce delle uve dentro.
Perché? Semplice: perché il mosto è quasi del tutto incolore, insapore e inodore (tranne rare eccezioni come i vitigni aromatici). Quindi ha bisogno delle sostanze aromatiche, dei pigmenti (antociani) e dei tannini presenti nelle bucce degli acini per diventare un vino rosso.
La macerazione delle bucce a mollo nel mosto è quindi un momento essenziale della vinificazione in rosso. Può durare da poche settimane fino ad alcuni mesi, periodo durante il quale si completa anche la fermentazione.
Quanto dura la fermentazione? Dipende dallo stile del produttore ma anche dal vitigno, che può richiedere più o meno macerazione perché più o meno concentrato in natura. Un nebbiolo richiederà lunghe macerazioni per "estrarre" quanto possibile dalla sua leggera concentrazione, mentre per un primitivo basterà una macerazione rapida per ottenere un vino già bello potente.
Per far sì che le bucce rilascino al mosto tutto quello che devono, spesso le si agitano all'interno del tino con un bastone, un po' come fossero una bustina del tè da spremere per bene nella tazza. Questo perché le bucce tendono a rimanere a galla e a formare un "cappello" statico sulla superficie.
Finita la fermentazione, si procede con la svinatura. In pratica si estrae il vino dal recipiente di fermentazione separandolo dalle vinacce esauste.
La svinatura include in genere una filtrazione, che è utile per stabilizzare il vino ed evitare che restino dentro particelle "vive". Poi il produttore decide se imbottigliare direttamente un rosso giovane, oppure se trasferire il vino in altri tini, botti, barrique, anfore e quant'altro per l'affinamento.
Una nuova vita, insomma, che vale per tutte le tipologie di vino, non solo rossi.
La vinificazione in bianco
Vi è sembrato difficile fare un rosso? Preparatevi, perché il vino bianco lo è molto di più! Ma non preoccupatevi: la patata bollente è degli enologi. Per noi, invece, la procedura è quasi uguale, anche se richiede più tecnologia.
La vinificazione in bianco è di per sé uguale a quella in rosso. Differenza: le bucce degli acini devono essere separate fin da subito dal mosto. Quindi, dopo la pigiatura, andiamo a travasare nel tino di fermentazione non una massa di mosto e bucce, bensì solo il mosto.
Questo ci serve perché il bianco è un vino che deve rimanere acido, verticale, sottile e scarico di colore, senza tannini e dai profumi nitidi e non troppo grassi.
Un po' giallino, quello sì: merito dei flavoni, che sono i pigmenti presenti nelle bucce delle uve bianche. La versione yellow degli antociani. In pigiatura, i flavoni fanno giusto in tempo a sprigionarsi delicatamente nel mosto, insieme ai profumi.
Sembra semplice, ma separare bucce e mosti così presto non lo è affatto: richiede tecnologie moderne e avanzate. Servono mezzi per trasportare molto rapidamente le uve dalla vigna alla cantina. E servono macchine che pigino l'uva in modo estremamente delicato ("soffice", dicono i tecnici).
Questo è il motivo per cui i bianchi sono vini "moderni": un tempo, quando era impossibile dividere bucce e mosti così in fretta, tutti i bianchi erano in realtà "macerati", come i vini orange.
Come si fanno i vini rosé?
I vini rosati non si fanno mescolando vino bianco e vino rosso!
Questa pratica è consentita solo in casi particolari, tipo per realizzare spumanti rosati. Altrimenti il rosato altro non è che un vino da uve rosse il cui mosto è stato lasciato a contatto con le bucce per un periodo limitato di tempo, anche solo qualche ora.
Una tecnica molto in uso per produrre rosati di qualità è quella del salasso. Questa tecnica consiste nel prelevare dal fondo del tino di fermentazione di un vino rosso, dopo poche ore di macerazione, una piccola quantità di mosto, che poi si fa fermentare ancora, ma senza contatto con le bucce. Se ne ottiene in genere un rosato carico, elegante e complesso come quelli del Salento.
Un'altra tecnica tipica per fare rosati di qualità, specie verso il Garda, è quella della lacrima. Questa tecnica permette di ricavare il mosto dai grappoli, tradizionalmente avvolti in sacchi, grazie alla sola azione della gravità, stillando goccia per goccia un nettare già leggermente rosato dal leggero contatto con gli acini.
Come si producono i vini orange?
Il vino orange è, in due parole, un vino bianco elaborato con la vinificazione in rosso. In sostanza, le bucce degli acini non vengono espulse dopo la pigiatura, ma lasciate in "infusione" nel mosto come se fossero bucce di uve rosse.
Risultato? Se l'uva di partenza ha bucce ricche di pigmenti, aromi e tannini (come un mantonico o una ribolla), otteniamo un vino dorato intenso, arancione o ambrato, ben disposto all'affinamento come i grandi vini di Gravner e Radikon.
Quanto dura la macerazione? Il contatto con le bucce può durare anche per alcuni mesi nei casi estremi. Altrimenti qualche settimana basta a conferire al vino corpo, morbidezza e grande sapidità, oltre a note di frutta secca, balsamiche e tostate.
Qual è il confine tra un vino veramente orange e un vino bianco macerato sulle bucce (tipo una settimana, per capirci)? Non lo si può dire. Nel mondo dei vini orange, dipende moltissimo dal colore e dal sapore del prodotto. Da provare!
Come si fanno gli spumanti: il metodo classico
Spumanti? Questione di metodo!
Ma andiamo con ordine. Che cosa contraddistingue uno spumante? Ovvio, la bollicina. Ecco, quello che distingue gli spumanti per metodo di produzione è proprio il momento e il modo con cui si formano le bollicine.
Quello considerato più nobile è il metodo classico, o metodo champenoise. Parto da un vino bianco finito, giovanissimo o affinato in legno non importa, spesso una cuvée, cioè una miscela di più annate. Gli aggiungo un piccolo tot di zucchero misto a lieviti, che chiamo liqueur de tirage, e lo imbottiglio chiudendo bene con un tappo a corona come quello delle birre.
A quel punto, in ogni singola bottiglia parte una nuova fermentazione, perché i lieviti andranno a mangiare gli zuccheri. Ma, rispetto alla prima fermentazione (cioè quella con cui abbiamo fatto il vino), c'è una differenza: in questo caso l'anidride carbonica non si libera nell'aria, ma resta imprigionata nella bottiglia e genera un'elevata pressione interna, formando le bollicine.
Oltre alle bolle, questa rifermentazione in bottiglia regala al vino un po' più di alcol e aromi: le caratteristiche note di crosta di pane di un Ferrari o di un Franciacorta. Questo anche perché il metodo classico presuppone un lungo affinamento del vino sui lieviti esausti.
Questo riposo avviene con le bottiglie messe a testa in giù su caratteristici supporti detti pupitre. Le bottiglie vengono periodicamente roteate (remuage) per far sì che le fecce si concentrino pian piano verso il collo della bottiglia.
Finito l'affinamento, si procede al dégorgement con l'aiuto di una macchina che stappa la bottiglia, ne estrae le fecce ed effettua il dosage, cioè la "correzione" dell'acidità dello spumante con una piccola dose di zuccheri.
A seconda del loro quantitativo, lo spumante sarà dry, extra dry, brut, extra brut, o pas dosé nel caso il dosaggio non venga effettuato. In questo caso, il produttore avrà voluto preservare tutta l'acidità del suo spumante senza "ammorbidirlo" in alcun modo.
Ah, ovviamente la macchina è incaricata anche di richiudere la bottiglia con il caratteristico tappo a fungo!
Il metodo charmat e il metodo ancestrale
Che fatica, eh? Ecco perché hanno inventato il metodo charmat! Il principio è lo stesso, ma anziché far rifermentare il vino in ogni singola bottiglia, lo si fa in grandi autoclavi di acciaio. Poi si svina e s'imbottiglia, previa filtrazione, non appena il manometro indica che si è arrivati alla pressione desiderata.
Che comodo! Certo, le note di crosta di pane e l'opulenza generale saranno meno intense, perché minore è il contatto tra il vino e le fecce. Ma più nitidi saranno gli aromi primari: per questo il metodo charmat è ottimo per fare spumanti da uve un po' aromatiche come il prosecco. In genere si fanno allo stesso modo anche i vini frizzanti, bianchi e rossi, come il lambrusco.
Lo sappiamo, siete sul pezzo. E quindi conoscerete già gli spumanti (o frizzanti) fatti con il metodo ancestrale. Bene, si tratta in poche parole di una rifermentazione in bottiglia ma senza tirage: metto in vetro, cioè, un mosto-vino ancora "vivo", e lascio che le bolle si formino approfittando della fermentazione alcolica ancora in corso.
Solitamente sono spumanti prodotti senza dégorgement e quindi senza dosage. E di conseguenza anche senza filtrazione. Diciamo che è un po' un metodo classico primitivo, senza lunghi affinamenti. Quindi lo spumante risulta fresco, sapido, di ottima beva, con leggere note di crosta di pane ma anche fruttate, e generalmente con un fondo di lieviti in sospensione nel bicchiere.
Anche per produrre gli spumanti dolci come l'Asti e il Moscato d'Asti metto in autoclave un mosto-vino ricco di zuccheri e lieviti e lascio che la fermentazione proceda lì dentro sotto pressione.
Quando c'è abbastanza bolla, refrigero il recipiente e blocco forzosamente la fermentazione: a quel punto avrò un vino mosso che ha sviluppato un pochino di alcol e ha conservato, di conseguenza, una buona dose di zucchero d'uva al suo interno.
Come si fanno i vini dolci?
Partiamo da un presupposto: la vinificazione è sempre la stessa. Quello che cambia, per fare un vino dolce, è il prima. Parliamo dei vini dolci da uve appassite perché dei vini dolci leggeri tipo il Moscato d'Asti, il Brachetto, i lambrusco amabili e via dicendo abbiamo già parlato.
Attenzione, però: così come non tutti i vini dolci sono vini passiti, allo stesso modo non tutti i vini passiti sono vini dolci. L'Amarone, ad esempio, è un vino rosso secco prodotto da mosti di uve appassite completamente fermentati: cioè i lieviti saranno riusciti a "mangiare" tutto lo zucchero presente nel mosto e a "svolgere" una quantità molto consistente di alcol.
Quello che differenzia i vini dolci è soprattutto il lavoro in vigna. Certo, in cantina si farà una fatica matta a pigiare acini molto disidratati. Si dovrà star dietro a fermentazioni molto lente e difficili, considerata l'elevata concentrazione di zuccheri che hanno le uve.
Ma la differenza la fanno tutte le tecniche, rigorosamente manuali, per arrivare a ottenere acini adatti a fare vini dolci.
Si può optare per l'appassimento. Ma come si fa il vino passito? Prima vendemmio e poi appassisco i grappoli al sole uno per uno? Si può fare, come a Pantelleria per un Ben Ryé. Oppure, come in Veneto e in Toscana, faccio l'appassimento direttamente in cantina, ad esempio in soffitta o in locali tipici, chiamati fruttai. L'appassimento può durare da una settimana a sei mesi, a seconda anche del mio clima e dello stile che vorrò dare al mio vino.
Se non voglio appassire, posso optare per la vendemmia tardiva. Una leggera surmaturazione dei grappoli in pianta per qualche giorno, e poi vendemmio. Altrimenti posso lasciare l'uva lì per settimane, magari finché non viene aggredita dalla muffa nobile oppure addirittura dalle prime gelate invernali. Ci farò, rispettivamente, un muffato come il Sauternes oppure un icewine.
I vini dolci più aristocratici subiscono spesso lunghissime fermentazioni negli stessi recipienti adibiti al loro affinamento. I lieviti "svolgeranno" in alcol solo una parte dell'ingente zucchero presente nel mosto, poi a un certo punto non ce la faranno più e moriranno.
Spesso la fermentazione avviene in botti di legno, talvolta molto piccole e antiche come nel caso del Vin Santo italiano, collocate in ambienti a temperatura naturale, a volte scolme.
Ma, anche se in questo caso vinificazione e affinamento si confondono un po' l'una con l'altro, questo è un altro capitolo della storia di questi nettari.
Che cosa è un vino liquoroso?
I vini liquorosi sono vini ai quali, rispetto a un vino-base di partenza, si aggiunge altro alcol mediante una procedura detta "fortificazione".
Si tratta di vini belli alcolici, come lo Sherry, il Marsala, il Porto, solitamente vinificati con antiche tecniche ossidative: nelle botti di legno, cioè, il vino si fa e matura senza controllo della temperatura e, in genere, i recipienti vengono lasciati scolmi, cioè con un tot di ossigeno al loro interno.
A seconda della tecnica di produzione, i vini liquorosi possono essere più o meno ossidativi, ma anche più, meno o per nulla dolci. La dolcezza si ottiene partendo da uve appassite, oppure aggiungendo mistelle zuccherine insieme all'alcol, oppure ancora effettuando alcolizzando mosti non del tutto fermentati.
I vini aromatizzati, come il Barolo chinato, sono dei vini-base cui vengono aggiunti zucchero e sostanze aromatizzanti – in genere erbe secondo precise ricette – al fine di ottenere un prodotto corposo, vellutato, da dessert o da meditazione.