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Suavia
L’Azienda: storia, vigneti, stile Suavia, oggi guidata al femminile dalle sorelle Tessari, è una delle aziende pioniere del Soave, tanto che porta con sé l’antico nome dello...
Anno di fondazione | 1982 |
Enologo | Valentina Tessari |
Vigneto proprio: | 18 / ha |
Produzione annuale | 180.000 bottiglie |
Paese | |
Regioni | |
Uve |
Vino di Suavia
Suavia
L’Azienda: storia, vigneti, stile
Suavia, oggi guidata al femminile dalle sorelle Tessari, è una delle aziende pioniere del Soave, tanto che porta con sé l’antico nome dello splendido borgo scaligero epicentro di uno dei più grandi, minerali e longevi bianchi italiani. Nata come azienda in proprio nel 1982 grazie alla lungimiranza di papà Giovanni e mamma Rosetta (ma le attività di famiglia nel mondo del vino risalgono all'Ottocento), era allora una delle poche realtà venete in cui la qualità costituiva lo scopo centrale della ricerca aziendale.
Oggi le figlie Valentina, Meri e Alessandra, tutte presenti a vario titolo in azienda, gestiscono questa tipica e caratteristica realtà soavese, dove la garganega trionfa sui classici suoli vulcanici del comprensorio e in particolare del magnifico cru di Fittà, a ben 300 metri di quota, stupendamente esposto al sole e a benefiche escursioni termiche, complice l’ottima ventilazione.
Fittà è un piccolo villaggio poco a nord di Soave, discretamente in altura, anche se da queste parti le colline vulcaniche sono sempre abbastanza dolci e mai elevatissime. Ci sono, tuttavia, alcune importanti pendenze, che regalano esposizioni molto interessanti e incanalano le correnti in modo ottimale per preservare la freschezza del frutto.
La cantina, moderna ed efficiente, concepita per la sola vinificazione in bianco, sforna oggi alcune delle eccellenze venete più apprezzate nel mondo. Le parole d'ordine di Suavia sono mineralità, eleganza e bevibilità, in perfetta coerenza con il terroir vulcanico. I vini, tuttavia, hanno ciascuno una personalità propria, frutto di un'interpretazione sempre mutevole e originale della garganega e del trebbiano di Soave, i due vitigni su cui l’azienda ha puntato esperienza e ricerca. Il resto lo fa la natura, certamente. Suavia ha un’impostazione tutt’altro che invasiva sia in vigna, condotta biologicamente (con certificazione a partire dall’annata 2020), sia in cantina.
Ogni intervento è ridotto al minimo essenziale, i cicli naturali sono rispettati e la vinificazione avviene sempre con lieviti indigeni, senza forzature meccaniche e nel rispetto totale dell’andamento delle annate. La cantina è infatti strutturata su due funzionali livelli interrati e un piano terra, prospiciente all’antica casa padronale, che, recentemente riqualificato, ospita una splendida sala degustazione con vista sul cru di Carbonare.
I vigneti dell’azienda sono situati al centro della zona classica della denominazione Soave negli importanti cru di Fittà, Carbonare, Castellaro e Tremenalto. Si tratta di un’area composta da colline vulcaniche di altitudine elevata che raggiungono anche i 320 metri. Qui, il microclima collinare più fresco rispetto alla zona pianeggiante del Soave e caratterizzato da notevoli escursioni termiche, unito all’elevato numero di ore di sole, dovute alle esposizioni ottimali che offre la collina, donano grandi benefici alla vite.
Parliamo di un comprensorio vulcanico, e anzi del cuore vulcanico della DOC Soave, che altrove si estende anche in suoli pianeggianti di assai minore interesse vitivinicolo. I vulcani sono stati il risultato di un’attività eruttiva eocenica, cioè avvenuta circa 50 milioni di anni fa, e tale attività ha comportato la formazione di basalti e vulcaniti di variopinto colore, dal bruno al giallastro al rossastro, che si sono in parte disgregate rilasciando moltissime sostanze minerali nei suoli: ferro, magnesio, manganese. Persistono, naturalmente, anche residui del sostrato precedente, marino e calcareo, che s’innervano tra le rocce sedimentarie di origine vulcanica, ora più massicce e compatte, ora porose e friabili.
In casa Tessari tutto viene gestito manualmente direttamente dalla famiglia. In vigna, dove regna la biodiversità e la diversificazione delle colture (numerosi sono gli olivi), si usano solo prodotti naturali e le potature, così come le vendemmie, sono condotte manualmente. Il vigneto Suavia ha un’estensione limitata, di non oltre 18 ettari totali, ma si dispone su quattro dei migliori cru della denominazione.
Il primo è Fittà, un cru dotato di buonissime escursioni termiche e ventilazione costante, i cui ceppi insistono su suoli di chiara origine vulcanica con una tessitura argillo-limosa. Qui, dove le pendenze arrivano al 30%, si coltivano sia alcune uve per il Soave Classico, sia la garganega delle Rive, dai vigneti più vecchi dell’azienda, con un’età di circa 60 anni. Sempre qui, a Fittà, da un ripido vigneto esposto meravigliosamente verso la piana veneta e il colle di Soave, si coltiva il Massifitti, vincente esperimento di un trebbiano di Soave vinificato in purezza.
Ricco di basalti e densamente vulcanico è anche il cru di Castellaro, situato in corrispondenza di un antico cono eruttivo. Da queste vigne proviene l’Acinatium, che è il Recioto di Soave di casa Tessari. Dal cru di Tremenalto, estremo nord della zona classica, su suoli particolarmente scuri e compatti, derivano altre uve destinate al Soave Classico.
Carbonare è un cru che non ha bisogno di presentazioni: si tratta di uno dei migliori vigneti della denominazione, anzi forse il migliore se si considera che, nonostante il complessivo cambiamento climatico in atto, grazie alla sua peculiare posizione riesce a conservare un clima relativamente fresco e, quindi, una maturazione delle uve costantemente ottimale perché lenta, regolare e graduale. Il nome di questo cru si riferisce al colore del terreno che lo caratterizza: “nero come il carbone”. Il suo suolo infatti è scuro e profondo a tessitura argillosa, per niente calcarea, fortemente vulcanico e costituito da rocce basaltiche compatte. La zona è ventilata e generalmente fresca, con escursioni termiche che esaltano la caratura aromatica delle uve.
In Carbonare si trovano alcuni dei vigneti più vecchi di tutta la zona classica, con un’età che raggiunge i 60 anni. Le pendenze sono considerevoli, tanto che è pienamente legittimo parlare, da queste parti, di viticoltura eroica. Suavia possiede circa 6 ettari di Carbonare, allevati a pergola veronese come da tradizione, e come suggerisce l’esigenza di proteggere il frutto dai raggi del sole. L’esposizione degli ettari di garganega posseduti dall’azienda in Carbonare è est-nord-est, lungo una cintura che si estende tra i 280 e i 300 metri sul livello del mare. Di tutti i cru del Soave, Carbonare è di quelli che maggiormente garantiscono alla garganega spalla acida, spina dorsale di mineralità e, di conseguenza, eccezionale longevità.
Come detto, Suavia lavora solo uve bianche: la garganega e il trebbiano di Soave. Testimoniata in zona sin dall’anno 1000, la garganega è un’uva forse di origine greca, anche se l’allevamento a pergola non fa escludere un ruolo degli Etruschi. Vitigno tardivo alquanto esigente ma molto produttivo, va in qualche modo contenuto per elevarne lo standard qualitativo. Ci pensa il terroir, non facile, ma anche il know-how Suavia. Delicata e raffinata, se ben vinificata la garganega esprima anche una decisa mineralità e una certa struttura.
Il trebbiano di Soave è probabilmente l’antica turbiana di cui si parla già dal 1500, conosciuta anche come trebbiano veronese, imparentata tanto con il vitigno del Lugana, quanto con il verdicchio, con cui condivide la tagliente acidità, a tratti verdognola. Relativamente poco produttivo, questo trebbiano fu quasi del tutto sostituito dal generico trebbiano toscano e dalla stessa garganega, finché gli è stato concesso di concorrere all’uvaggio del Soave e finché, in anni recenti, proprio le sorelle Tessari gli hanno dedicato un vigneto, Massifitti, da cui derivano un vino che costituisce ad oggi la massima espressione in purezza della varietà.
I vini
Il Soave Classico è il vino d’ingresso alla gamma di Suavia, e beneficia delle caratteristiche migliori di alcuni dei cru più significativi della denominazione. Resta a contatto con le fecce fini, in solo acciaio, per circa cinque mesi, ed esprime una mineralità immediata ma tutt’altro che banale. Una garganega che al naso esprime fragranze di mela, pera e biancospino, accompagnate da belle note agrumate e minerali, e che al sorso si dona cremosa, succosa, fresca e avvolgente, di ottima e appagante sapidità.
Massifitti, come si diceva, è il risultato della sperimentazione Suavia su un vitigno che ha rischiato l’estinzione, il trebbiano di Soave. Ben 15 mesi sui lieviti in acciaio e poi ancora un anno in bottiglia, questo vino esprime un parco organolettico sorprendente: giallo paglierino con echi verdolini, sprigiona note di pesca gialla, kiwi e mughetto unite ad una mineralità verticale e terrosa che ricorda il profumo della roccia bagnata. Sorso terso, verticale e tagliente, esprime in gioventù una sferzante freschezza unita ad una struttura elegante e cremosa, con un finale iodato e ammandorlato.
Da trebbiano di Soave in purezza, Suavia produce anche il suo unico spumante, Opera Semplice, un metodo classico che riposa quasi due anni sui lieviti. Esprime all’olfatto sentori sulfurei e di frutta secca tostata accompagnati da fresche note di pera e mela; il sorso è tagliente, verticale e molto asciutto, con una bollicina elegante e un finale estremamente pulito.
Monte Carbonare è l’etichetta più rappresentativa di Suavia, quella che ha scritto la storia e il successo della famiglia a suon di meritatissimi riconoscimenti, e a cui si deve, insieme a pochi altri Soave top, la codificazione della garganega al vertice delle uve italiane autoctone da vino bianco. Le sorelle Tessari parlano di Carbonare come di “un pezzo di terra nel bicchiere”, e non si può che dar loro ragione. Le radici delle viti di questo cru affondano dentro suoli neri tra i più vulcanici della regione, regalando calici di mineralità verticale e tagliente, da dosare nel tempo, attendendo pazientemente l’evoluzione in bottiglia di sentori più avanzati e sfaccettati, dalla pietra focaia all’idrocarburo, dalla grafite alla polvere da sparo.
A Carbonare, le uve si vendemmiano verso metà ottobre. I mosti, conferiti in cantina con pazienza e dedizione evitando accuratamente sbalzi termici eccessivi e principi di ossidazione, sostano in acciaio per circa due settimane. Svolta la fermentazione, il vino riposa in acciaio per 12/15 mesi a contatto con le fecce fini, poi altri cinque in bottiglia prima della commercializzazione. Si tratta quindi di un bianco da solo acciaio, che esprime complessità e longevità per le sole caratteristiche del territorio e dell’uva.
Un Carbonare giovane, dell’annata corrente, sfoggia un calice giallo paglierino con riflessi brillanti, a volte più dorati, a volte più verdolini. Il naso, fin dai primi anni dopo la vendemmia, si riconosce per la mineralità tutt’altro che immediata e scontata. È, quella di Carbonare, una mineralità vera, non un’etichetta sensoriale che va di moda. Il profilo olfattivo, che certamente lavora inizialmente su sentori floreali di biancospino, erbe di montagna, fieno, susina, agrumi, camomilla, evolve fin dalle prime rotazioni in qualcosa di molto più articolato. Su una trama fumé con tocchi sulfurei, Carbonare esprime note di pietra focaia, mallo di noce, con folate balsamiche e di incipiente idrocarburo.
Il sorso è incredibilmente completo e cesellato. A dominare, naturalmente, sono la freschezza e la sapidità, a tratti citrina la prima e iodata la seconda, ma Carbonare nasconde anche un ottimo patrimonio di cremosità e avvolgenza, che esplode con il tempo in una notevole consistenza gustativa. Elegante, asciutto, molto persistente, si slancia verso un finale sapido e ammandorlato. La sua generosa armonia tra durezze e morbidezze lo rende eccezionale a tutto pasto: tra le proposte condivise anche dall’azienda, si possono citare crostini con baccalà mantecato, insalata di polpo con verze e lenticchie, risotto con ortiche, tagliatelle con trota e asparagi, grigliata di pesce, formaggio Monte Veronese d'allevo Mezzano.
Chiudono la gamma Suavia i due bianchi da garganega di maggior corpo. Uno è Le Rive, garganega in purezza prodotta da uve vendemmiate tardivamente nell’omonimo vigneto. Per il 30% fermenta e affina in barrique, assumendo un più intenso color paglierino-dorato e un profilo aromatico di frutta tropicale, agrumi canditi e spezie, con un corredo di incenso e vaniglia, sia pure mai invadente. Il sorso è elegante e denso, ricco, per quanto sempre fresco e minerale, con un ottimo finale sapido.
L’altro è il Recioto di Soave, Acinatium. In questo caso i grappoli di garganega vengono vendemmiati un po’ in anticipo per preservarne la freschezza e poi posti ad appassire fino a marzo, quindi con tempistiche da vin santo. Vino della tradizione locale, sosta due anni in barrique, un anno in acciaio e un altro anno in bottiglia prima di essere immesso in commercio. È il classico bianco dolce da terroir vulcanico, quindi in ottimo equilibrio fra il residuo zuccherino e la mineralità. Ambrato, al naso richiama il miele, l’albicocca e l’ananas, insieme a note balsamiche di eucalipto e menta. Il sorso, di ricca persistenza, è tuttavia teso ed elegante, dolce sì, ma sapido, a tratti iodato e finemente speziato.